ARRIVANO LE CONDANNE ANCHE PER GLI INSULTI SOCIAL

Pubblicato il 11 Febbraio 2020

Chi pensa di “farla franca” riempiendo i social di insulti è sempre più smentito dalle condanne che aumentano nelle aule dei tribunali. E se a ricevere maggiore attenzione da parte degli organi di informazione sono le sentenze che coinvolgono personaggi pubblici, sono in costante aumento anche i procedimenti giudiziari che coinvolgono normali cittadini.

L’ultimo caso è quello di un 46enne di Modena che dovrà scontare quattrocento ore di lavoro socialmente utile a titolo gratuito per aver scritto su Facebook delle frasi razziste contro una famiglia nomade. Il giudice ha inoltre stabilito che l’uomo dovrà presentare un’offerta di risarcimento ai destinatari delle offese, al fine di evitare il processo per diffamazione aggravata dall’odio razziale.

Tempi duri per i cosiddetti “leoni da tastiera”. E chi invoca la “libertà di espressione del pensiero”, tutelata dalla Costituzione, per giustificare ingiurie lasciate contro politici, giornalisti, attori, cantanti o cittadini comuni, farebbe bene a leggersi la sentenza numero 11409 emanata dalla Corte di Cassazione il 18 marzo 2015:

Il riconoscimento del diritto di critica tollera giudizi anche aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, purché gli stessi colpiscano quest’ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce, ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata

Insomma, insultare una persona, diffamarla, augurargli la morte o lo stupro non è libertà di opinione, è reato.

Quanto ai vigliacchi che per diffamare utilizzano profili falsi, anche per loro ormai non c’è più scampo: la Polizia Postale è da tempo dotata di tecnologie all’avanguardia che permettono in un tempo relativamente breve di risalire al proprietario del dispositivo e all’intestatario della rete da cui partono i messaggi incriminati.

I social network, dal canto loro, vista la vasta diffusione del fenomeno e i tanti casi di cyberbullismo, sono sempre più disponibili a collaborare con le autorità.


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